TESTI

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«Hanno curato sue personali, si sono occupati del suo lavoro, tra gli altri: Giosuè Allegrini, Giorgio Di Genova, Rūta Giniūnaitė, Laura Mateescu, Allie O'Hanley, Kate Ogden, Francesco Poli, Marzia Ratti, Alessandro Rizzo, Rebecca Russo, Chiara Serri, Claudio Strinati, Ermanno Tedeschi, Stephi Wild, Simon Adam Yorke, Susanna Zatti»

«Many have curated his exhibitions and written about him, among others: Giosuè Allegrini, Giorgio Di Genova, Rūta Giniūnaitė, Laura Mateescu, Allie O'Hanley, Kate Ogden, Francesco Poli, Marzia Ratti, Alessandro Rizzo, Rebecca Russo, Chiara Serri, Claudio Strinati, Ermanno Tedeschi, Stephi Wild, Simon Adam Yorke, Susanna Zatti»

↓ Saggi, Recensioni e Articoli [selezione]/Selected Texts, Reviews, and Articles

DANIELE BONGIOVANNI. CON PURA FORMA

di Francesco Poli

In questa serie di opere, che fanno parte del ciclo intitolato "Aesthetica", iniziato nel 2015, Daniele Bongiovanni è arrivato alla nitida e rarefatta purezza di una materia pittorica costituita quasi soltanto da bianche suggestioni spaziali e luminose, appena animate da delicate tracce cromatiche indeterminate.

È il risultato di una notevole evoluzione della sua ricerca in direzione di una radicale volontà di essenzializzazione, o se si vuole di sublimazione, del linguaggio figurativo. E cioè di una progressiva presa di coscienza dell'importanza di elaborare le sue composizioni non solo come rappresentazioni ispirate dalla realtà esterna ma anche, soprattutto, come espressione che emerge direttamente dagli elementi costitutivi della pittura, vale a dire dalla delicata e complessa interrelazione primaria fra lo spazio fisico bidimensionale del supporto e le modalità della stesura dei colori.

In questo senso Bongiovanni è riuscito a mettere in scena degli artefatti che da un lato si caratterizzano per peculiari valenze evocative e dall'altro, per una tensione che, per certi versi, possiamo definire analitica e minimale (se non proprio minimalista): visioni che sollecitano l'immaginazione dell'osservatore, e che allo stesso tempo hanno connotazioni chiaramente autoreferenziali.

Una tale stimolante ambivalenza è particolarmente efficace dato che si tratta di dipinti che, a prima vista, sembrano legittimamente rientrare nel tradizionale genere del paesaggio. Ma sono paesaggi sui generis perché ci troviamo davanti non tanto a pitture di paesaggio quanto piuttosto a vibranti e evanescenti "paesaggi" della pittura.

Ed è lo stesso pittore che ci suggerisce una lettura del genere attraverso i titoli dei quadri, quanto mai vaghi e problematici: Sul bianco, Etere, Natura continua, Do not (lontano), Blu con distanza, e Not (landscape). E soprattutto quest'ultimo titolo è una chiara dichiarazione d'intenti: un paesaggio che non è paesaggio, uno "pseudo-paesaggio".

Mi viene da dire, in modo forse troppo azzardato, che questi quadri si potrebbero collocare fra due estremi punti di riferimento, o fonti di ispirazione: da un lato l'affascinante dissolvenza quasi mistica della dimensione luminosa e spaziale delle visioni più indeterminate di William Turner (in particolare dei suoi acquerelli), e dall'altro il rigore minimalista e la concettuale sensibilità monocromatica bianca di Robert Ryman, in cui la riduzione purista del processo del fare pittura è portato alle estreme conseguenze. E naturalmente si potrebbero citare molte altre suggestioni, più o meno attinenti, lungo il percorso della pittura moderna e contemporanea: da certe atmosfere spirituali di simbolisti come Odilon Redon alle meravigliose impressioni fluttuanti dell'ultimo Monet, dalle superfici di Mark Rothko alle esperienze con valenze cromatiche più rarefatte di artisti informali e dell'area analitica.

Vale la pena aggiungere qualche considerazione sul modo con cui Bongiovanni ha "impaginato" la sua pittura, e cioè sui formati delle singole tele, sui dittici e trittici, e sullo sviluppo di sequenze di immagini. Nel caso dei dipinti che hanno una forma rettangolare orizzontale (per esempio in Natura continua) l'effetto della composizione è, in un certo senso, più naturalistico, perché rimanda alle misure classiche dei dipinti di paesaggio. Ma quando i supporti sono quadrati, come nella maggior parte dei lavori, viene accentuato maggiormente l'aspetto diciamo così concettuale, perché la forma quadrata viene percepita come più razionale. A questo proposito basti pensare al fatto che il quadrato è stato un formato particolarmente privilegiato dagli artisti dell'astrattismo geometrico, da Mondrian a Joseph Albers, e soprattutto dagli esponenti della pittura minimalista (per Ryman era "lo spazio perfetto"). E ancora più legato allo spirito concettuale e minimalista è l'articolazione dell'operazione pittorica attraverso serie di supporti strutturati in sequenze regolari. Ed è per questo che il lavoro di Bongiovanni che esprime maggiormente la dimensione concettuale della sua pittura, è Natura con Deus, una sequenza di trenta piccoli quadretti disposti in linea orizzontale sul muro. È un'opera che gioca su due livelli di lettura: quello da una certa distanza che permette di cogliere l'effetto ritmico e cromatico complessivo quasi come un contrappunto musicale; e quello ravvicinato che consente la fruizione delle singole visioni, come una antologia di micro-paesaggi. Ma si può anche dire che tutti gli elementi della mostra, visti nel loro insieme, formano la partitura di una articolata opera unitaria.

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Con Pura Forma, a cura di Francesco Poli, Arcidosso, Edizioni Effigi, 2019)

LESS IS MORE PER DANIELE BONGIOVANNI

di Marzia Ratti

Attraverso una selezione di opere quasi interamente realizzate per questo appuntamento espositivo, Con Pura Forma, Daniele Bongiovanni presenta il suo punto di avanzamento pittorico che senza abbandonare la matrice espressionista da cui era partito, affievolisce il rapporto con la figurazione a favore di un'emozionalità incentrata sulla luce e le vibrazioni dei pigmenti.

Con uno sguardo à rébours sull'intenso lavoro della seconda decade del secolo si può tentare di rintracciare alcune costanti della sua logica volitivamente applicata al fare, oltre che a 'pensare pittura'.

Possiamo leggere nelle opere di oggi un'evoluzione naturale della sua ipotesi pittorica che inizia dalla figurazione - intesa e filtrata sin da principio da esigenze di progressiva destrutturazione che in parte coincidono anche con i suoi interessi di studio - per approdare a un operare minimo che raggiunge la dimensione del silenzio e del mistero per via di sola luce colorata. Sembra volerci ricordare che less is more e che c'è un lungo cammino di conquista da parte degli artisti per liberarsi dal superfluo e raggiungere l'essenziale, un cammino che è contrario a ogni forma di decorativismo, al di là di ogni facile piacevolezza estetica e che si nutre della processualità operativa per ottenere quel passaggio cruciale che permette al 'vedere mentale' l'accadimento pittorico.

Sia in Exist che in questa mostra, Bongiovanni esplora le dimensioni liriche del bianco, chiedendo al colore non solo di enunciare se stesso, reificandosi in ripetute ma mai uguali sequenze, ma di istituire un dialogo preciso con l'incidenza luminosa, secondo modalità operative che sembrano correlate, se non sottomesse, ai comportamenti delle materie utilizzate.

Il bianco e le sue varianti sono una sfida che ha affascinato i pittori sin dall'età barocca, ma solo dal Novecento ha assunto un ruolo da protagonista assoluto. Il bianco come metafora dell'invisibile e dell'ineffabile, come luogo mentale, come vuoto che genera possibilità di ascolto e assenza di suono. Il bianco come valore oggettivo autonomo, puro fatto di superficie, come lo intendeva Manzoni (ma non mi pare sia questa l'accezione di Daniele).

Con questi aspetti e su queste corde si misura la conquista dei bianchi da parte di Bongiovanni, che spesso lavora tono su tono e insegue le tante, diverse, gradazioni possibili di quel che è considerato il non-colore per eccellenza e che, invece, è gravido di significati e di tensione mistica.

I bianchi, la rarefazione, le atmosfere luminose, il trattamento nebbioso della materia racchiudono le riflessioni che con continuità egli conduce sul senso della ricerca artistica che, pur ricordando analoghi risultati di tanti autori contemporanei sui versanti della pittura analitica e del concettuale, attingono con sottigliezza alla tradizione storico-artistica, vuoi quando destruttura il genere del ritratto riallacciandosi all'iterazione 'popular', vuoi quando sposta gli orizzonti della composizione verso l'alto, dando vita a un'astrazione che pare un frammento ripensato del 'donatore in abisso' di medievale memoria.

Osserviamo con attenzione i suoi spazi dipinti: i suoi orizzonti si alzano e, di contro, si abbassano o spariscono del tutto i frammenti di realtà che viene ora evocata attraverso filamenti luminosi di materia, residui di colore, affioramenti di immagini che alludono a un passaggio di esistenza presente solo nella lontananza di un pensiero, di un ricordo, di una languida nostalgia.

Le immagini, quando presenti, sono come impronte impalpabili, destinate a perdersi come antiche fotografie consumate dalla luce inesorabile. Ma è la stessa luce che colpisce e che scolora a rivelarle ancora, a lasciarle affiorare come lampi di coscienza che evocano presenze e ricordi liquidi.

Si crea perciò uno spazio immaginativo che lascia penetrare in noi la coscienza di una realtà persistente oltre i confini dell'opera, come se l'artista l'avesse voluta spingere appositamente fuori dal campo della visione non soltanto per suggerirla con libertà interpretativa, ma per riflettere anche sui limiti della percezione e sugli inganni dei sensi.

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Con Pura Forma, a cura di Francesco Poli, Arcidosso, Edizioni Effigi, 2019)

DANIELE BONGIOVANNI. DALLA FIGURA ALLA PURA FORMA

di Francesca Panseri

Daniele Bongiovanni nasce nel 1986 a Palermo. Manifesta precocemente l'attitudine per il disegno e la pittura. Iscrittosi all'Accademia di Belle Arti della città, ottiene la laurea con una tesi su Kokoschka, artista a cui si sente fin da subito affine. Lo attrae la capacità, che è propria dell'Espressionismo austriaco, di riuscire a fondere tradizione e innovazione in un'opera artistica dall'alta carica comunicativa. Questa frequentazione lo porta inoltre a rigettare una distinzione rigida tra figurazione e astrazione. Proseguendo gli studi ha modo di approfondire la conoscenza del colore bianco di cui rintraccia usi e significati storici; comincia così un'interrogazione su questo colore che culmina nella recente serie Aesthetica in cui il bianco assurge a rappresentante simbolico della sua poetica. Consegue la laurea magistrale in Arti visive presso la stessa Accademia.

Dopo essersi messo alla prova con un libro d'artista, composto da disegni e poesie, dal titolo L'incerto, che raccoglie gli esiti della sua primissima produzione (1998-2003), collabora con Stefania Maccelli, responsabile del Centro Studi della Civica Pinacoteca "Amedeo Modigliani" di Follonica, che lo inizia all'arte di Modigliani e di Guttuso. Persevera nello studio del disegno anatomico e della tecnica pittorica e contemporaneamente si interessa di estetica, nella convinzione che arte e filosofia siano due discipline sorelle. La sua attenzione si rivolge in egual misura all'operato artistico in quanto determinazione di senso e in quanto “messa in forma” della materia.

Nel 2007, realizza alcuni dipinti liberamente ispirati al testo crociano Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale che espone nella sua prima personale, Liquido/Sophia, al MACIA (Museo d'Arte Contemporanea Italiana in America). L'opera The Line (Sophia) viene acquisita dal museo per la sua collezione permanente. A soli due anni da questo primo importante riconoscimento viene invitato a esporre, con la personale Collezione Pelle Sporca, all'interno del Padiglione Natura e Sogni della 53ma Biennale di Venezia.

Questa fase della ricerca di Bongiovanni è caratterizzata dalla ricorrente presenza del tema deformato del volto, da una forte accentuazione cromatica e da una pennellata corposa e vibrante, con evidenti suggestioni espressioniste e talvolta informali. Comincia per l'artista una stagione fertile di opere, esposizioni, viaggi. Risiede per due anni a Parigi dove conduce nuovi studi sulla figurazione classica e insiste nella sua sperimentazione al contempo concettuale e materica. Nel 2014 è presente all'Independents Liverpool Biennial curata da Simon Adam Yorke, alle rassegne dell'Istanbul Contemporary Art Museum ideate da Genco Gulan, a esposizioni in gallerie in Europa, Australia e America.

A partire dall'anno successivo Bongiovanni intraprende una rivoluzione interna alla propria pittura nel segno del bianco, della pura forma e della visione. Sfidando l'assunto platonico dell'arte come mimesis, tenta di dimostrare che l'arte stessa è idea, come a dire, è realtà, verità che passa per forza di visione, ovvero di penetrazione, dal creatore allo spettatore. Nascono le collezioni AestheticaNatural e De Nature, un florilegio di paesaggi tratteggiati a tinte tenui e inondati di bianco, traduzione oggettuale di "luoghi mentali" scaturiti da un'attività verbo-visuale di conoscenza del mondo. La monografica Mundus, a cura di Gregorio Rossi e Alessandro Rizzo, alla CD Arts Gallery di Lugano, con il patrocinio della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, prende il nome da una delle opere più emblematiche di questo secondo periodo, il trittico T.d.C (mundus). Segue la personale InEtere, a cura di Rebecca Russo, a Palazzo della Luce di Torino. Il 2017 è l'anno della sua seconda partecipazione alla Biennale di Venezia: espone Natura con Deus nel Padiglione La Marge. Si ricordino inoltre la personale Aesthetica Bianca all'Ambasciata d'Italia a Londra e la collettiva Videoinsight® Collection a cura di Paola Stroppiana al RISO - Museo d'Arte Contemporanea della Sicilia.

In concomitanza con altre significative mostre in Italia e all'estero, le sue opere vengono nuovamente acquisite da note istituzioni pubbliche e private, tra cui la Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso, la Fondazione Aria di Pescara e le Ambasciate italiane di Londra, Helsinki, Abu Dhabi. Nel 2018 Bongiovanni partecipa all'esposizione Ricordi Futuri 3.0, curata da Ermanno Tedeschi e Flavia Alaimo, presso Palazzo Sant'Elia a Palermo. È sostenuto dalla penna di Claudio Strinati che cura la sua personale antologica Exist a Palazzo Broletto di Pavia e si confronta con alcuni grandi nomi italiani, come Isgrò e Balla, nella mostra La Regia Marina e la Grande Guerra - il Mare il Cielo la Terra e l'Arte, a cura di Giosuè Allegrini, al Museo Tecnico Navale M.M della Spezia. Prende parte poi al progetto sperimentale Macro Asilo diretto da Giorgio de Finis al MACRO - Museo d'Arte Contemporanea di Roma. Nel 2019 presso la Raffaella De Chirico Arte Contemporanea a Torino si tiene la personale Con Pura Forma, a cura di Francesco Poli.

("Wall Street International Magazine", 27 agosto 2019)

DANIELE BONGIOVANNI - CON PURA FORMA

di Cecilia Paccagnella

Ai giorni nostri, parlando per stereotipi, si pensa all'arte contemporanea in termini di sperimentazioni tecniche e stilistiche che utilizzano metodi innovativi, spesso lontani dai canoni tradizionali legati a un uso del pennello e dello scalpello. Nella mostra appena terminata presso la Galleria Raffella De Chirico (Torino), lo spettatore si trova a confrontarsi con tele dipinte di varie dimensioni. La pittura, torna in auge in queste opere di Daniele Bongiovanni, il quale, forse debitore degli insegnamenti appresi all'Accademia di Belle Arti di Palermo, riflette sul medium di vecchia data, soffermandosi su un tema anch'esso intramontabile: il paesaggio, da sempre teatro di situazioni e protagonista in molte correnti, in questa sede rivisitato e fatto proprio dall'artista. Esso, infatti, è il soggetto prediletto del ciclo "Aesthetica", avviato nel 2015 e divenuto cifra stilistica di Bongiovanni. 

In passato, il paesaggio veniva rappresentato in modo realistico e ricco di dettagli, per fare da background nel Rinascimento, tramutato in condizione interiore esternata durante il Romanticismo. Sulle pareti della galleria, esso diventa un'espressione astratta della coscienza del pittore. L'osservatore, infatti, non è in grado di riconoscere ambienti realmente esistenti, bensì è invitato a lasciarsi trascinare e travolgere nella contemplazione, in un turbinio di suggestioni che lo trasportano in una dimensione irreale, come un viaggio all'interno del modo di vedere il mondo proprio dell'artista. Per quanto riguarda il supporto, Bongiovanni rimane ancorato ad un'impronta tradizionale, preferendo utilizzare il formato quadrato delle tele, solitamente associato alla forma perfetta, capace di accogliere in modo appropriato il contenuto del dipinto. 

Dal punto di vista pratico, l'artista opera per sottrazione con tecniche miste, partendo da una stesura di colori scuri, per poi lavorare con il bianco al fine di estrapolare il paesaggio astratto, come a volerlo liberare dalla condizione embrionale indefinita e manipolandolo fino all'aspetto che noi vediamo nel risultato finale. L'aspetto materico è volutamente lasciato evidente, quasi a dimostrare l'artificiosità dell'opera e la stratificazione delle pennellate, andando così a concretizzare un'idea che dalla mente dell'artista, attraverso il pennello, prende vita sulla superficie della tela. Il "ciclo dei cieli bianchi", nella mostra "Con Pura Forma", è a sua volta suddiviso in piccoli nuclei di opere: ad esempio "Not Landscape" (2018), dittico che nel titolo esplicita al pubblico la volontà di non leggerlo come mero paesaggio; "De Naturale" (2018), una serie di quadri indipendenti, ma con lo stesso appellativo; "Natura con Deus" (2016), installazione composta da piccoli quadrati su tavola, presentati per la prima volta alla Biennale d'Arte di Venezia. A loro volta, i titoli sono evocativi e aiutano a comprendere meglio il contenuto sfuggevole. Il loro ruolo, infatti, è fondamentale e non casuale, facendo capire l'intento del pittore siciliano: bisogna andare al di là di ciò che il nostro occhio percepisce a primo impatto, penetrando nella spiritualità dell'artista.

("Segno", 11 marzo 2019)

DANIELE BONGIOVANNI, IL TEATRO SILENTE

di Claudio Strinati

Il bianco è il protagonista indiscusso delle opere di Daniele Bongiovanni.

Le figure emergono delicatamente e silenziosamente. Si nascondono e ci scrutano, in un gioco di accenni e di contrappunti visivi eterei e sfumati.

Sembra una volontà dettata dalle figure stesse, più che dall'Artista nella sua consapevolezza ed inconsapevolezza creativa. Personaggi che letteralmente si svelano a noi osservatori come parte di una stesura teatrale silente, che non vogliono rivelarsi, che ci spiano. Forse, ci giudicano ponendosi moralmente al di sopra di noi, come se avessero trovato nella luce una dimensione ideale. Forse, ci compatiscono perché noi siamo ancora avvolti dalle tenebre e dai compromessi del tempo.

Ecco, il tempo. Una condizione umana che nei quadri di Bongiovanni non c'è. Un concetto affermato dall'artista stesso attraverso la sua corporeità. Nelle fotografie che lo rappresentano infatti c'è un'immagine che mi ha colpito profondamente: l'orologio al polso, avvolto in una collana. Come se l'arte, rappresentata dal gioiello, avesse bloccato lo strumento per eccellenza per misurare qualunque ciclicità.

Nell'opera di Bongiovanni la figura umana e la natura sono accomunate da una sospensione temporale e visiva che avvolge e cela, che mostra e disperde.

Ma se nella rappresentazione delle figure umane esse vincono nel confronto con la luce, nei paesaggi la natura ne è quasi schiacciata e nella battaglia della manifestazione, risulta perdente.

Quando Bongiovanni affronta il ritratto o il ricordo del ritratto, ecco che il protagonista esce prepotentemente e si rivela in tutti i suoi caratteri peculiari.

Un'attenzione particolare, marcata e preponderante è data dall'artista agli occhi. Sono sempre presenti sia quando sono resi manifesti dalle pupille e dalla definizione del loro contorno, sia quando sono completamente in ombra, quasi cavi, ma proprio per questo ancora più presenti.

Questo aspetto si nota soprattutto nei multipli, dove il processo creativo di Bongiovanni è reso evidente nel passaggio dal bianco assoluto alla manifestazione del soggetto protagonista.

Il tratto è sempre delicato e mai violento, quasi meditabondo e nei paesaggi si rivive la dolcezza à la Monet, dove ci riferiamo al periodo veneziano del celeberrimo impressionista francese.

Entrambi gli artisti studiano e giocano con la luce.

Ma la "natura" del nostro Daniele non ha contorni riconoscibili come Claude. La sua natura è qualunque luogo: sia fisico che mentale.

In questo scenario, un ruolo fondamentale è assunto dal visitatore perché attraverso i suoi occhi il luogo assume un significato e una riconoscibilità nella mente. Il messaggio di Bongiovanni non è diretto e non vuole esserlo, ma viene filtrato dal terzo occhio dell'osservatore che ne diviene partecipe e protagonista, ad ideale completamento del mutevole messaggio dell'artista.

Non possiamo e non dobbiamo osservare velocemente le Opere di Daniele Bongiovanni.

In quest'ottica la mostra antologica "Exist" che sono lieto di curare e presentare vuole essere un tragitto attraverso i momenti creativi apicali e fondamentali dell'artista.

Una passeggiata nel suo percorso creativo che ci vede testimoni e presenti in ogni momento, notando gli influssi del passato e le nuove ricerche intraprese in un continuo rinnovarsi dell'artista, sempre fedele alla sua idea iconica di arte.

Nell'opera di Bongiovanni la tela è il supporto maggiormente presente, ma quando viene sostituita dalla tavola o dal cartone, pur rappresentando lo stesso soggetto, il messaggio cambia profondamente.

L'uso di tecniche miste permette infatti di rendere carnale e, al tempo stesso, eterea la pittura in un gioco di sovrapposizioni e di scambi visivi potenti e consapevoli.

La delicatezza del tratto infine rivela l'accurata formazione accademica di Daniele Bongiovanni, a dimostrazione della solida preparazione filtrata dal ragionamento che l'artista ha portato avanti e continua a perseguire con nuove sperimentazioni, ma avendo come costante il suo palese conflitto interno tra vigore e sensibilità, che lo caratterizza come uomo e che esplode prepotentemente, e con evidenti risultati, nelle sue opere.

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Exist, a cura di Claudio Strinati, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2018)

DANIELE BONGIOVANNI. UN ANELITO URLATO DI LIBERTÀ

di Giosuè Allegrini

"Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita" - (William Shakespeare, La Tempesta, Atto IV)

Ebbi modo di conoscere Daniele Bongiovanni, alcuni anni or sono, a Roma e subito rimasi colpito dal suo fascinoso modo di rapportarsi, qualificato, brillante ed intellettualmente intrigante e dalla propria compiuta conoscenza dei movimenti artistici novecentisti, frutto di un approfondito studio accademico e di un percorso professionale nel mondo dell'arte di assoluto livello che lo ha portato ad essere invitato più volte in Biennale a Venezia come pure ad esporre in grandi musei, divenendo così uno dei più talentuosi e significativi artisti della sua generazione nell'intero proscenio dell'arte italiana e internazionale.

Un approccio, quello di Bongiovanni, che potrei definire più moderno che contemporaneo, nel senso straordinariamente più giovane, fresco, puro e incontaminato del termine. Una visione magnificamente evocata dall'artista immortale, Gino De Dominicis, che teorizzava un rapporto con la storia in chiave diametralmente opposta rispetto a quanto convenzionalmente stabilito: noi, piccoli esseri vecchi e condizionati, punto estremo esperienziale, siamo posti sulle spalle dei giganti giovani, ossia di coloro i quali ci hanno anticipato nel corso degli eventi, sviluppando così un percorso a ritroso che giunge all'epoca dei Sumeri, ossia all'istante zero esperienziale, quello della condizione mitologica di autenticità, quello degli eroi che governano il tempo e lo spazio. Una natura divina incarnata nella natura umana, una sostanza intatta ed eternamente incorruttibile. Una visione non conformistica, dunque, ma estremamente affascinante in cui gli antichi erano i giovani e noi invece siamo la conseguenza estrema, la fine o il punto di arrivo della storia. Una poliedrica mutevolezza di forme espressive che hanno un unico comune denominatore: il senso della libertà; quella condizione creativa, immaginifica e incontaminata del creatore che si identifica nella medesima tensione immaginifica e incontaminata del soggetto rappresentato.

Soprattutto in Daniele Bongiovanni c'è una visione dell'arte intesa come raffigurazione di quel visionario ma straordinariamente incisivo Palazzo Enciclopedico evocato, nel 1955, dall'artista italo-americano Marino Auriti, ossia un'arte vista come catalizzatore di conoscenza universale dell'umanità che per adempiere al proprio mandato parte dalla ricerca di sé, dall'indagine del proprio ego istintuale. l'Io in quanto spazio dell'inconoscibile, un abisso in cui avventurarsi, meditare e contemplare. Non a caso il misticismo, l'ingrediente più potente del Libro Rosso di Gustav Jung, inteso come presa di coscienza dell'incapacità di conoscere tutto attraverso la ragione, pone a dire a Bruce Nauman in una sua famosa spirale "Il vero artista aiuta il mondo rivelando verità mistiche".

Un anelito urlato di libertà, quello evocato dall'opera di Bongiovanni; una velleitaria quanto coraggiosa sfida fra l'autocoscienza etica e la varietà delle forze vitali universali che esce dagli schemi contemporanei precostituiti e che mette alla prova sé stessi. Una libertà tracciata e solcata dallo stesso Edward Munch, come pure da Oscar Kokoschka o Marc Chagall, straordinari maestri e stilemi fondanti per Daniele Bongiovanni che nel proprio fare artistico aspira ad una libertà che si sostanzia nell'idea stessa di fare arte; perché l'arte è di per sé uno spazio d'indipendenza e di espressività individuale, quale via di fuga da tutto ciò che è normato e preconcetto, che ci penetra, ci permea, ci assolve e ci rigenera.

Un viaggio per il corpo e per la mente che salpando dalla sfera intima della creatività, ed assumendo un approccio antropologico allo studio delle immagini, dà fonda nello spazio universale della collettività e nell'ambiente naturale per approdare, infine, nella dimensione spirituale in cui ponderare l'eterno e l'infinito. L'immagine si concretizza così in una sorta di invisibile ponte mentale che correla il varco sensoriale tra il percepibile e il fantastico; non a caso potremmo dire del lavoro di Bongiovanni che tutto ciò che è realistico è mitico e tutto ciò che è mitico è realistico.

Questa è la chiave di volta dell'evoluzione artistica, lo sviluppo espressivo intercorrente da Maldidenti (2007) e Pelle sporca (2007) - esposta alla 53° Biennale di Venezia - a Studio sulla pura forma (2012), Studio Quasi mimesi e No mimesi (2013), per giungere ad Aesthetica (2013), Materia Prima (2014), Natura con pura forma (2015), Natura con Deus (2016) - esposta alla 57° Biennale di Venezia - o piuttosto a quel capolavoro che è T.d.C Mundus, sempre del 2016.

Bongiovanni partendo da una rappresentazione a matrice espressionista che approda ad una sapiente gestione dell'informale e dell'astrazione onirica, azzerante la percezione delle proporzioni e della profondità, addiviene così al secondo imbiancamento alchemico, o albedo, concepito come uno stato d'illuminazione; l'albeggiare della personalità inconscia nella coscienza.

Non un tragitto terreno ma spirituale, una ricerca della visione, un samadhi panico ottenuto scendendo a vari livelli difficili di profondità, fino al limite estremo. Quando si muore ogni giorno, come dice San Paolo.

Ecce Mundus! Ecce Homo! Ecco l'Universale! Ecco il Particolare! Ecco l'Uomo con la sua terrena dolorosa fisicità e con il suo spirito creativo immortale che intende penetrare l'essenza intima delle cose, attraverso un approccio primordiale, sciamanico, panteistico con il quale guardare attraverso per vedere oltre.

Ecco l'Uomo Cosmico che coniuga nel De rerum natura le derive superstiziose e la saggezza dei padri! Ecco infine il Creatore!

È come se l'artista Bongiovanni ci stesse dicendo io sono, io vivo, io esisto nel momento in cui gli altri percepiscono e testimoniano ciò che io percepisco e testimonio. Questo è il punto decisivo: il luogo in cui l'indicibile può essere testimoniato è il luogo stesso della pittura, le sue forme il suo spazio. Allora il paesaggio si fa corpo, il corpo diventa paesaggio e si diluisce in natura, silentemente, per affermare un ciclo cosmico che sprigiona energia e poesia, lucidità ed incanto, disciplina e abbandono giungendo così alla conoscenza e quindi alla rinascita dell'Io.

In tale ottica il volto parzialmente coperto, velato, celato diventa il volto di tutti; il "volto senza volto", ossia il volto della pluralità, l'accordo dell'anima al tutto, che già esiste, e al tutto che ancora deve essere detto e frequentato, è l'impronta universale di una cultura vissuta di sensazioni.

Ecco che il bianco in Bongiovanni diventa condizione di vuoto e silenzio, rappresentazione vera e reale dell'Infinito. Esso è il colore della novità, di un nuovo inizio, del nutrimento. Il bianco si muove fra gli opposti, è un colore incandescente o un freddo raggelante, la fusione di fuoco e ghiaccio. Esso trasmette la vastità indefinita e impersonale dell'universo e il terrore umano dell'annichilimento. Il bianco accoglie in sé la proiezione del tutto e del nulla. Il bianco di Bongiovanni è, infine, da considerarsi alla stregua del materno oceano di latte del mito indù: è l'origine di tutte le fondamenta dell'universo.

Per addivenire a ciò l'artista, si deve tramutare in sciamano evocatore, deve svincolarsi progressivamente da qualsiasi riferimento contingente e pregiudizievole, d'ogni attività e d'ogni esperienza. Deve essere l'occhio ubiquitario, il prolungamento del corpo e dell'anima, la mano che esplora il mondo e lo consegna all'essere. Lo spazio della pura visione diventa cosi luogo della coscienza e della conoscenza; il luogo che rivela inusitati accessi semantici così come rinnovate intuibili incarnazioni della sacralità.

La tela evocata da Bongiovanni si trasforma così in un connubio, una superficie elettiva su cui seminare, far germogliare e sviluppare un processo di trasformazione, di sintesi globale, ove il pensiero, le esperienze e la vita modellano una dimensione artistica altra connessa all'interiorità più profonda, che è al contempo animale e vegetale, razionale e mistica, individuale e collettiva, che dice di noi di come siamo di ciò cui aneliamo a metà strada fra la contingenza e la spiritualità da cui la società contemporanea sembra essersi allontanata. È del resto la stessa natura antitetica della nostra cultura, sempre in bilico fra Razionalismo e Antirazionalismo, fra Modello e Unicità, che produce effetti di conoscenza che spesso rovesciano la realtà in finzione e la finzione in realtà e non è per nulla accidentale che il bisogno di partecipazione emotiva, di sentirsi parte del tutto universale, è oggi più che mai vivo.

Ognuno dei quadri di Bongiovanni racconta il viaggio verso questo luogo, per presentarsi poi nella presentazione di questo luogo stesso, nella visibilità di ciò che è invisibile. Un connubio inscindibile di ego naturale e istintuale che ripercorre un viaggio nel tempo e nella natura attraverso cui si risale a quel remoto istante iniziale dove il Fare e l'Essere, l'Immanente e il Trascendente si sostanziano ineludibilmente nella categoria assoluta dell'eterno, ossia nell'idea stessa dell'Arte.

Ecco il concetto di sacralità espresso da Bongiovanni: il sacro è quel punto in cui si è spogliati di tutto ciò che ci protegge, protendiamo la nostra nudità verso l'altro; verso la notte che incombe con i suoi bianchi fantasmi, verso l'intersezione del tempo umano con il tempo disumano dell'eternità. È spazio in cui ci apriamo silenziosamente al mondo, è spazio attraverso cui il mondo altrettanto silenziosamente entra dentro di noi.

Muta quindi l'intero quadro concettuale con cui l'uomo ha cercato finora di capire la natura e sé stesso, fra l'universo sensibile e il mondo di carta delle teorie. In ciò risiede l'assoluta originalità espressiva, profonda ed incisiva, di Daniele Bongiovanni, vero grande pittore poiché è capace di mostrare l'esistenza degli Dei con le immagini.

"Quando capite alzate l'Intelligenza". Testo del primo messaggio trasmesso da Guglielmo Marconi via etere, in codice morse, nella storia dell'umanità - La Spezia, 18 luglio 1897

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Exist, a cura di Claudio Strinati, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2018)

DANIELE BONGIOVANNI: ALLA RICERCA DEL PROFONDO

di Susanna Zatti

Se dovessi dire qual è la prima parola che mi viene in mente guardando le opere più recenti di Daniele Bongiovanni quella è: silenzio. È superfluo, credo, sottolineare come, nella nostra società contemporanea urlante o quanto meno sopra tono, il silenzio sia davvero una pausa essenziale per ascoltare i nostri pensieri, per distillare le emozioni, per costruire uno spazio intimo dove rifugiarsi per momenti di meditazione, o di leggerezza. Un silenzio che non è assenza di suoni né povertà di voci, non è un vuoto ma un pieno denso di memorie, di esperienze, di vissuto che si vuole far tornare a galla e riassaporare, pur se amaro o doloroso.

La pittura di Bongiovanni è silenziosa, è un'oasi di riflessione, di tranquillità: ciò non vuol dire che egli sottovaluti la problematicità del mondo reale, che ne rifiuti la complessità per appartarsi in un angolo di banale semplicità; attraverso gli strumenti propri del suo mestiere, quelli tradizionali dei pennelli e dei colori, l'artista dà risposte alle inquietudini e agli interrogativi sul manifestarsi e mutare delle forme, sul precario rapporto tra l'uomo e il creato, sul senso del divino che permea di sé ogni cosa, sul concetto panico dell'universo.

Pittore di solida formazione accademica, dotato di un'altrettanto solida attitudine a riflettere con strumenti filosofici, Bongiovanni ha lavorato - pur in un curriculum artistico temporalmente ristretto, ma assai intenso e qualificato quanto a riconoscimenti e partecipazioni a mostre di alto livello - su cicli compositivi/tematici che sembrano perseguire un obiettivo di progressiva riduzione all'essenziale, di ricerca della sostanza delle cose, tralasciando via via la sontuosità della materia, l'opulenza e la varietà dei colori, rinunciando a facili effetti edulcorativi. All'esordio erano opere come Maldidenti e Pelle sporca, dipinte entro la fine del primo decennio del Duemila, a mostrarne la vena e matrice espressionista, l'interpretazione drammatica della figura umana, la resa vivida dei volti grazie a un disegno sapiente e una pennellata ricca di materia succosa; se l'omaggio a Munch è più sottile, espliciti sono quelli a Kokoschka (tema della sua tesi di laurea) e a Chagall, di cui studia non solo le pitture ma anche gli scritti e le liriche, venendo profondamente influenzato dalla visione onirica, smaterializzata e poeticamente libera del repertorio figurativo ebraico.

Poi - con il ciclo Aesthetica e Natura con Pura Forma - il sentimento della natura emerge prepotente e una concezione religiosa, panteista dell'universo, si esprime nei quattro elementi naturali, in cieli sconfinati e in vedute compresse sul fondo del quadro: la pennellata si è fatta più soffice, gli impasti più liquidi, le tinte si sono schiarite divenendo più delicate e preziose; predominano i bianchi screziati di velature leggere, di oro di argento di azzurri e di fucsia, per alludere a paesaggi eterei, irreali, descritti da un soffio, da un alito cromatico: un pretesto per indagare sulla presenza di una divinità, di una mente infinita che trascende la nostra finitezza di umani.

Infine Mundus: scavando nel bianco baluginante, nella luce che ha armonizzato e fuso i diversi colori, nel magma indistinto ma brulicante di bagliori, tracce e colature, emerge nuovamente la figura, un volto, uno sguardo, o meglio, mezzo volto e mezzo sguardo: è l'affiorare di presenze dietro le trasparenze, è una memoria a tratti lucida e a tratti sbiadita, che il nostro occhio fatica a riconoscere e a portare in superficie, dandole coscienza, ma che esisteva già nel profondo e che, "per via di levare", oggi ha riconquistato la libertà.

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Exist, a cura di Claudio Strinati, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2018)

INTERVIEW WITH ARTIST DANIELE BONGIOVANNI

by Adam Aslan

AA: You were one of the artists exhibiting at the Venice Biennale last year, how was this experience?

DB: The experience at the Biennale is always dazzling. It allows you to exhibit your latest research and to meet artists from all over the world. This makes you understand the real result of a research and the difficulty of doing something new in a context such as that of contemporary art where everything was already discovered. Another positive note is the series that I brought to the Biennale, which has a universal iconography. For this reason, the appreciation from both the critics and the public was transversal, on top of the recognition obtained. The Biennial was also an educational experience because it gave me the opportunity to compare myself with multiple visual languages.

AA: You recently returned to Italy by taking part in major exhibitions in your hometown (Videoinsight Collection, Ricordi Futuri 3.0). We know that you are planning two new major monographic events. Can you anticipate something?

DB: I was invited to these two big events that deal with two very significant topics to me: the dreamlike and therapeutic vision of art in the Videoinsight Collection exhibition, held at the Riso museum and the International Holocaust Remembrance Day (Shoah) in Ricordi Futuri 3.0 at the Fondazione Sant'Elia. In recent times, in addition to these events, I have been abroad but this could not distract me from the events I am working on in Italy. They are two monograph exhibitions: one by Francesco Poli and the other by Claudio Strinati and Giosué Allegrini. I am very committed to these two projects because they will bring to light both my path in its integrity and the concept brought to the last Venice Biennale. In both cases what remains outside will be the union between the theory of art and the form that contains it, or the figure that contextualizes it in the world.

AA: Looking closely at large canvases exhibited in your studio, we can see a face painted on one of them and evanescent landscape on another one. Are these the worlds (man, nature) that represent your language?

DB: Exactly, what I'm looking for is to draw out the pivotal points of existence through a wide use of poetics, that is, man responsible for every historical event that concerns us and nature as the sole event not generated by man's hand. Nature can only be reproduced by man by enhancing its value.

AA: You are internationally known and for this reason you travels a lot. I assume that every city influences an artist's palette. Recently we have seen a series of your works titled Aesthetica Bianca at the Italian Embassy in London. How important is it to an artist to define himself through colors? Burri is identified with red, Ives Klein with the famous blue, etc.

DB: For an artist the colors are a bit "like the trademark". Every artist has a palette where the range of colors become his identity card. What I can say is that an artist does not choose his color range: these appear gradually thus becoming part of his work. The Stoics of the art make attributions through color identifying it as the artist's signature.

AA: You conduct an almost anthropological study of the face. On your painted faces there are not only common facial expressions, but also the "physical manifestations" of human feeling. This is important to communicate something that is deeper in us.

DB: The study I make serves to clarify that, in addition to facial expressions, there is something else to express joy for example. A subject pointed by me does not necessarily have to laugh or smile but can also take on an apparently relaxed expression that is equally rejoicing. This is because the face has micro features that say much more. To make these micro-features visible, we need to make a careful study that touches both the psychology and the concept of empathy, between our neighbour and us. All of this subsequently becomes painting.

AA: Painting often comes from painting itself. In your works a complex harmonic construction is shown. Even in the paintings where we only see a subject, we notice that the equilibrium of the same surrounding space is characterized by some incursions of color that balance the whole. Is the preparation phase equipped with an initiatic design or does it all come about by chance?

DB: Obviously the equilibrium is one of the main factors that influence the construction of a work of art by studying the theory of perception and the psychology of the form. It is a fact that those who admire a work of art are confronted with a visual language that will determine the output. I often make an indicative sketch of the final result before I get to painting. If I want to create something light, I compose volumes that cannot be separated from the elevation project, while if I want to paint something harder, my design will be reinforced even before I get to the colour. Years ago, I decided to be able to draw by just a few lines, "a breath". When I realized this, I convinced myself that through the design you can represent everything, something that, once painted, can become a vehicle of each type of perception, also of things difficult to perceive such as feelings and physical actions that are often not recorded by human eye.

(Arte Fuse, March 1, 2018)

DANIELE BONGIOVANNI, LA PATRIA DELLA MIA ANIMA (CHAGALL)

di Ermanno Tedeschi

Ritraendo il volto di Marc Chagall, uno degli artisti più profondi del suo tempo (1887-1985), Bongiovanni riporta alla luce con l'ausilio di un certo espressionismo e della metafora, ciò che ha determinato la sua storia, dipingendone semplicemente il mood: multiforme in uno scatto d'epoca che lo ritrae. Riporta sul suo volto, con dei pigmenti soffiati (trama del sogno e del fantastico) e plastici (trama di ciò che è reale e spietato), il fermo-immagine del suo pensiero, del suo sguardo, forse lì consapevole di una vita che è oscillante tra la gioia e il dramma.

Il punto di vista dell'artista elogia l'emotività di un uomo impegnato e romantico. Volante quanto ferito, narratore attento, che durante il suo percorso, anche professionale, ha reso iconografico e personale, con un criterio di assoluta condivisione del dolore, l'afflizione del suo popolo. Quello ebraico.

Il pittore russo in tutta la sua vita riflette sul tema, denunciando le persecuzioni e le deportazioni di cui è stato vittima il popolo ebraico.

Nell'opera di Chagall spesso vediamo l'uomo come il Cristo, simbolo del dolore di Israele. Esempio portante è "La Crocifissione bianca". L'autore, attraverso riferimenti culturali e simbolici, racconta la sofferenza e la Shoah. Per Chagall Cristo rappresenta l'ebreo che muore perseguitato. Spesso nella sue opere l'ebraicità del Cristo sofferente è rappresentata dal tallit.

(saggio presente in Ricordi Futuri 3.0. Diaspore in terra di Sicilia, a cura di Ermanno Tedeschi e Flavia Alaimo, Torino, Silvio Zamorani Editore, 2018)

DANIELE BONGIOVANNI. NATURA CON DEUS

di Daniele Radini Tedeschi

Sempre più la contemporaneità ci impone di valutare le opere attuali attraverso una doppia indagine, da un lato una rivolta alle possibili fonti filosofiche e simboliche, dall'altra una limitazione del manufatto entro un campo estetico. Diventa impossibile riflettere su di un'opera come "Natura con Deus" di Daniele Bongiovanni senza afferrare ambedue le strade e comprenderne la valenza. L'opera si compone di 30 tavolette di legno dipinte di forma quadrata e disposte in tre file di dieci quadri ciascuna. L'effetto finale appare come una sequenza ritmata e cadenzata di piccole celle conchiuse ma per assonanza aperte nei confronti della cella vicina; ognuna libera nello spazio e non più monade narcisistica, ogni pittura reca una sua valenza collettiva e, topologicamente, non differisce da un quadro quale il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. L'orizzontalità della composizione, da me teorizzata nel volume Tiltestetica (2014), costate in pittura quanto in architettura, possiede una valenza simbolica che va oltre la semplice riluttanza estetica. Tale orizzontalità trascende dalla mera essenza lineare ma raggiunge il potere archetipico della comunione, della fratellanza intesa come vita comune, collettiva. Bongiovanni ha compreso il valore dell'apertura al mondo e conosce la missione profetica dell'artista, il dovere necessario a lui designato. L'artista è un profeta che attraverso la poetica della materia può spiegare l'assoluto, l'infinito, il grande dubbio che la scienza non potrà mai afferrare. Grazie ad un sapiente gesto del colore il pittore può risvegliare nel riguardante immersioni dell'anima, può pescare nel pozzo gelido dell'interiorità umana. Anche Bongiovanni parla dell'inverno esistenziale, luogo di incontro tra la natura e Dio, ove il ghiaccio diviene quel magma algido plasmato dal demiurgo, ma lasciato incolore, venato appena da sfumare prismatiche, da bagliori labili, da evanescenze di una policromia sibilata. Il Dio-demiurgo è un artista della materia che aborrisce la violenza cromatica, gli squilli acidi, ma essendo egli dentro la Natura, essendo Natura, si limita a decorare e screziare il ghiaccio con ricordi di colori. Dio è un artista sensibile, tonale, per nulla realistico ma peintre en plein air.

Bongiovanni è conscio di questo potere acherotipo di Dio sulle immagini e si presenta come secondo artista rispetto al divino, cede il posto al sacro dipintore, e commenta con valore di medium la "sua" produzione. Differentemente dall'artista titanico, dal Saul dell'Alfieri, dall'empietà di molti pittori contemporanei, Bongiovanni compone la sua opera con l'umiltà dell'esecutore attento alla grandezza e ai prodigi del mondo superiore. Bongiovanni non è artista rinascimentale, ripudia l'antropocentrismo, bensì è figura esistenzialista, sartriana; concepisce la divinità, anche se del Nulla, e non si pone in conflitto con essa. Egli può solo che rendere omaggio ad una bellezza infinita del creato o del Nulla o della Luce, contemplandola, facendosi da essa dipingere, mutandosi da persona a specchio, riflettendo sui suoi significati eterni.

Egli sostiene: "In Natura con Deus ho tentato di dare un'atmosfera fisica alla base e onirica al culmine che, essendo il soggetto principale delle composizioni, viene accentuata da ciò che ho inserito nelle composizioni; ossia il Deus, fenomeno a tratti indicibile, qui inteso non come un Dio, ma come energia, presenza e allo stesso tempo, in modo del tutto paradossale come assenza".

(saggio presente in La Marge, 57.ma Esposizione Internazionale d'Arte, La Biennale di Venezia, a cura di Daniele Radini Tedeschi, Roma, Start Edizioni, 2017)

IL VOLTO NELL'ARTE TRA PASSATO E PRESENTE: DA LEONARDO DA VINCI A DANIELE BONGIOVANNI

di Giuseppe Davide Farina

«Leon Battista Alberti nel "De Pictura" pubblicato nel 1435, in cui descrive le origini della pittura, scrisse di Narciso innamorato della propria immagine. L'artista diviene lo strumento, e usa un riflesso per riprodurre la sua immagine allo specchio, tratto dopo tratto».

Con questa citazione, sicuramente più incline all'autoritratto, vogliamo in parte far capire l'intento della nostra bilaterale analisi. L'intenzione primaria è quella di parlare del volto, cercando di creare un interessante e delicato parallelismo su uno dei soggetti che ha attirato l'interesse di molti importanti maestri sia del passato sia del presente. Parliamo dello studio e della realizzazione della figura umana in generale, un processo che ancora oggi viene considerato come uno dei punti più alti del fare arte.

Il volto umano nella storia dell'arte è sempre stato motivo d'interesse per gli artisti, pittori, scultori e disegnatori anatomisti hanno sempre lavorato su questo tema, portando alla luce risultati eccezionali anche in altre discipline, soprattutto nel campo più difficile e particolare, a loro molto caro, della fisiognomica. Nelle mimiche facciali può nascondersi una grande ragione esistenziale e soprattutto filosofica.

La fisiognomica in un certo senso è una disciplina che vuole dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni. Per questo motivo, come già accennato, l'argomento è stato da sempre materia prima di molti famosi artisti figurativi, che non si sono solo soffermati sulla forma ma anche su quel qualcosa d'invisibile, come l'impercettibile in natura, a cui si rivolge lo sguardo. L'approfondimento di questa ricerca, associata ad un concetto di bellezza e perfezione universale è stata assai diffusa nel Rinascimento, a tal proposito il genio di Leonardo da Vinci scriveva: «L'occhio, dal quale la bellezza dell'universo è specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l'anima sta contenta nelle umani carceri, mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le varie cose di natura. Ma chi li perde lascia essa anima in una oscura prigione, dove si perde ogni speranza di vedere il sole, luce di tutto il mondo» (Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, XIX, 1550).

Gli studi di Leonardo da Vinci sull'uomo del suo tempo sono molti, anche il suo famoso autoritratto viene considerato tale, basti pensare che molti concordano che sia un'opera di Leonardo ma non il suo vero volto. Nello specifico si tratterebbe di uno studio preparatorio.

Leonardo da Vinci nei suoi ritratti unisce indissolubilmente la figura con il paesaggio circostante. Emblema della sua arte è la Gioconda. Questo dipinto, divenuto oggetto di ammirazione e bersaglio di deformazioni, è identificato con il ritratto di Monna Lisa del Giocondo. La scienza e l'arte sembrano riassumersi e toccare il culmine. L'espressione del volto e il tanto celebre sorriso sono inafferrabili come l'essenza dell'intero paesaggio. L'avvolgimento atmosferico rende infatti indissolubile l'unione della figura con il paesaggio stesso. Nonostante l'interesse di Leonardo anche nei confronti di uno sfondo anch'esso estremamente importante, il fulcro di molte sue opere sta nello sguardo, in quel qualcosa che ancora oggi interroga gli studiosi e che rende le anime da lui dipinte immortali. È giusto ricordare che l'enigma, nei suoi capolavori può mostrarsi vivo non solo negli occhi, ma anche in altri innumerevoli dettagli. Se guardiamo la Monna Lisa da una certa distanza ci accorgiamo che ogni elemento ha un suo perché preciso e niente è lasciato al caso. Per quanto riguarda il suo sfondo, molti storici ritengono che non si tratti di uno scenario inventato, ma rappresenti anzi un punto della Toscana. Questo serve a farci capire che ciò che ci sembra irrilevante può raccontare l'identità del soggetto posto in primo piano.

Lo studio del volto umano è passato in ogni epoca dell'arte, da quella classica a quella moderna e contemporanea. Uno dei più noti pittori contemporanei che concentra il suo lavoro su questo fattore è Daniele Bongiovanni. Lui esegue ritratti dalla maniera anche classica, ed è solito portare sopra i volumi del viso dei percorsi interiori, punti sensibili che si uniscono e che provengono da un contatto con l'attualità e con una conoscenza teorica che si basa su nozioni filosofiche. Il legame con il pensiero rinascimentale è esplicito, in quanto i suoi ritratti mettono spesso al centro l'uomo come simbolo di ogni verità. Bongiovanni lavora sulla dinamicità del volto dipinto, la fisicità e l'introspezione sono il sunto di un vivere poetico e attento alla normalità del quotidiano. "Il sacro e il profano". Nei visi e nei ritratti da lui eseguiti i confini tra l'immaginario e ciò che è assolutamente reale creano sempre nuove possibilità d'interpretazione del quadro generale. La dimensione rinascimentale appare sicuramente rinnovata ma sempre riconoscibile. Nel movimento energico del gesto la cosa che non appare mai alterata è l'umanità dello sguardo.

«Solitamente quando voglio ritrarre la vita, la realtà di qualcuno, tento sempre di restringere tutta la sua storia, il suo vissuto, nello schema infinito di un ritratto. Per questo credo che basterebbe farmi un autoritratto, per portare alla luce quello che io oggi vivo e sono» (Daniele Bongiovanni, Wall Street International Magazine, 12 maggio 2017).

L'interesse ossessivo degli artisti nei confronti della figura, ha una lunghissima tradizione, un punto altissimo di questo aspetto in epoca più moderna, è stato toccato anche grazie all'espressionismo.

A tal proposito ricordiamo che il termine espressionismo indica, in senso molto generale, un'arte dove prevale la deformazione di alcuni aspetti della realtà, così da accentuarne i valori emozionali. In tal senso, il termine prende una valenza molto universale. Al pari del termine classico, che esprime sempre il concetto di misura ed armonia.

Ritornando all'argomento centrale, l'esigenza degli artisti di conoscere il carattere interiore di se stessi e degli altri, per indagare anche sulla psiche, attraverso un percorso non ordinario, nasce dalla voglia di ricondurre una realtà non visibile e sconosciuta a schemi noti e altamente rassicuranti. Può essere questa una delle motivazioni per cui l'arte ha affrontato ed interpretato in svariati modi il tema, tutto ciò secondo una linea evolutiva che s'incrocia anche con la scienza. L'arte visiva crea un solido rapporto fra la corazza dell'uomo e il suo profondo "essere e non essere". Questo dal passato al presente è rimasto quasi invariato.

Con il passare del tempo il "ritratto" è stato fatto anche attraverso una nobile pratica performativa, in quanto i linguaggi con cui comunicare e trascrivere uno "sguardo" dal punto di vista artistico sono innumerevoli. Il volto, ma anche il corpo, con il passare del tempo è diventato non solo disegno o dipinto, ma anche scena, teatro, film e musica. Il ritrarre, ancora oggi rimane uno studio straordinario e contemporaneamente un solido dato effettivo, un'operazione risolta. Ciò è riscontrabile in molti testi autorevoli che parlano della figura umana come un "concetto" rivelatore, idealizzato già nell'arte egizia e supremo dalla ripresa del viso di Cristo fino ad oggi.

("Odysseo Magazine", 14 settembre 2017)

DANIELE BONGIOVANNI, L'UNIVERSALE POSSIBILE

Tutta la produzione pittorica di Bongiovanni è come uno specchio a più livelli: nitido, luminoso, positivamente scheggiato, nei punti che si ritiene debbano contenere le ferite e le trasformazioni provocate dal taglio del tempo. Enigmatico e contenitore di immagini dilatate o apparentemente liquide, lontane.

Il segreto dell'autore sta in un terzo occhio, vigile quanto analitico, che scruta e marca ogni piega, ogni orlo e luogo dell'argomento che verrà ogni volta rifatto e trascritto con la materia. La qualità sta in questo velocissimo sguardo, che riesce a vedere e captare, non solo la sua stessa memoria (visiva), ma anche i temi che noi stessi definiamo sociali, perché riconducibili ad un problema ampio, di tutti.

L'indagine qui presente è originale, incommensurabile, rivolta anche ad uno dei rischi a cui andiamo incontro ogni giorno, paradossalmente durante il nostro stato di saggio equilibrio quotidiano. Il rischio è quello di perdere il controllo su ciò che non va snaturato: il valore intrinseco.

Noi tutti, oggi, siamo in parte colpevoli di alcune invasive e fuorvianti innovazioni pressoché inutili, alienazioni linguistiche e visive che immobilizzano la comunicazione, i rapporti e l'evoluzione naturale del pensiero.

A volte questo mortifica la società, quanto l'estro e la crescita dell'individuo stesso. Basti pensare che ci sono studiosi, che affermano che l'utilizzo sfrenato delle tecnologie, solo per fare un esempio, che portano ad un abuso d'interpretazione delle cose sterile, aumenti il caso di una generazione assediata da milioni di immagini e informazioni false, che privano di una reale conoscenza della profondità del nostro "Io".

Su questa linea Bongiovanni si fa avversario del subdolo fenomeno e con la sua mano torna alle radici, producendo un veicolo che si muove solo attraverso i valori primari: i sensi e l'intelligenza emotiva. Detto questo e soffermandoci solamente sulla "forma" narrativa e filosofica di "Natura con Deus", serie di trenta elementi, vediamo uno stato di grazia, almeno dell'arte; i "paesaggi" purificati ed evanescenti, ci portano al di fuori di ciò che è consueto e meccanico, liberi da ogni problema, di fronte ad una "vita" costruita lentamente, con un morbido fare pittorico, un carattere figurativo tra il verismo e il suo quasi opposto: l'informale, il sogno.

Numerose sono le visioni lucide, sono pianure mosse da un cielo bianco, stilema portante della pittura di Bongiovanni, che narrano di un luogo sicuro, non caratterizzato, non omologato alla nostra progressiva e abusata modernità.

Le opere, operazione di terra d'ombra naturale, azzurro velato, verde purissimo, oro, argento invecchiato e porpora, installate in uno spazio di circa cinque metri, sono soffi penetranti, che in un ordine preciso, non casuale, evocano anche una sacralità nuova, universale.

Ovviamente i significati aumentano se si pensa alla volontà già citata dell'autore. Bongiovanni non imita il vero, crea. Il suo Deus è materia specchiante che riflette sull'essere contemporaneo.

(testo tratto da Biennale di Venezia 2017. Ecco la natura eccelsa di Daniele Bongiovanni, in "La Voce di Venezia", 23 luglio 2017)

DANIELE BONGIOVANNI: NATURA CHE EMERGE DALLA PITTURA

di Chiara Serri

Paesaggio come eco di una bellezza immutabile. Utilizzo della tecnica classica dell'olio steso per velature successive ed immissione di nuovi pigmenti - fluo ed acrilici - che aprono al contemporaneo. Nelle opere di Daniele Bongiovanni, la natura emerge gradualmente dalla pittura, tra dato reale e slancio onirico. Invitato da Daniele Radini Tedeschi, espone con il gruppo El círculo mágico all'interno del Padiglione del Guatemala alla Biennale di Venezia, nell'ambito di un progetto dedicato alla natura e alla spiritualità.

CS: La mostra del Padiglione del Guatemala s'intitola La Marge. Qual è il suo rapporto con il margine? Limite della tavola, confine tra figurazione e astrazione…

DB: Sia nell'arte che nel quotidiano, considero i dettagli fondamentali. Pensiamo alle parole, ad uno scritto, all'opera in tutte le sue forme: ciò che rende nuova e interessante la comunicazione - in un momento come questo, dove quasi tutto è già stato detto, scritto e fatto - è il particolare. Esso vive nel margine, e se non monitorato, diventa invisibile quanto insopportabile. Parlando di stile, la mia pittura cerca di essere fedele a se stessa, pur non incasellandosi in una condizione troppo definita: astrazione, figurazione tradizionale, il sociale, il messaggio necessariamente filosofico… Il mio lavoro abbraccia una condizione eclettica, sia per quanto riguarda la composizione, sia per quanto riguarda il suo stesso significato o significante. Tecnicamente parlando, rispetto regole ben precise, ma cerco di non sottovalutare mai il pensiero laterale, complice volontario del rigore. Da un punto di vista espressivo, mi servo anche di quella che chiamo "intelligenza della mano".

CS: Porta alla Biennale di Venezia la serie Natura con Deus. Trenta tavole di piccole dimensioni in cui i lacerti di un paesaggio - ricordato o forse immaginato - si stemperano in atmosfere oniriche. Natura e pittura? L'importanza dell'esposizione sequenziale?

DB: Il bello oggettivo, la bellezza utile e immutabile, quella che non viene filtrata e mai rappresentata da finti canoni e stucchevoli mutazioni, la troviamo solo in natura, nella parte più sofisticata del paesaggio. Da anni ho intrapreso uno studio sull'estetica generale, sul rapporto tra arte e realtà. Ancora oggi sono colpito da questa disciplina. Ovviamente non rimango ancorato solo ad una certa ricerca, aggiungo sempre qualcosa di nuovo, un corpo centrale. È come contestualizzare un elemento dentro un grande spazio. Qui ho immesso il "Deus", che non ha una valenza teologica, né di fede universale, antiumanistica, ha solo l'obiettivo di parlare, paradossalmente, dell'indicibile, di quel qualcosa che non è stato ancora svelato e trascritto. Se la pittura si fa bella grazie alla consistenza sia materiale sia spirituale della natura, è giusto farne una sorta di trattato visivo. La sequenza, poi, è come la grammatica, quando hai assorbito bene la regola vai di getto. E qui si viene a creare un certo equilibrio, che cerca di non affaticare mai la percezione.

CS: Associa alla tecnica classica dell'olio steso per velature successive una scelta cromatica particolare, che attinge anche all'ambito pop con tinte fluo…

DB: Le particolari tinte fluo sono degli eccessi, sono i soggetti estranei, diventano "cose" invadenti, che vengono positivamente occultate dalle varie stesure di colore. È un po' come omaggiare o incastrare un frammento di modernità in un contesto classicheggiante.

CS: Progetti in cantiere?

DB: A luglio parteciperò alla fiera Market Art + Design di Hamptons, New York, con Alias Project, una combinazione tra alcuni elementi della serie InEtere, che ho già esposto a Torino, con alcuni elementi della serie Nimble, presentata presso l'Arts & Entertainment District di Miami. Ci sarà quindi una mostra personale, ancora in fase di realizzazione, a cura di Claudio Strinati.

("Espoarte - Speciale Biennale", anno XVIII, n. 97, 2017)

"IN ART, I LOOK FOR THE PUREST FORM OF THINGS": INTERVIEW WITH THE ARTIST DANIELE BONGIOVANNI

by ArtDaily

AD: On which collection are you working lately?

DB: For the moment, I am working on projects related to some philosophical themes where man meets the countryside, in which there is a fusion between the human being and the landscape context. These projects will premiere in major exhibitions in Venice, Rome, Hong Kong, Antwerp, Milan, Miami and Hamptons, NY.

AD: White characterizes your works. However, black is also sometimes present and creates great effects…

BD: White is the most mature colour and in the meantime the absence of itself. For this reason, it allows me to make subjects both dreamlike and real. I recently brought this theme in many exhibitions where it was highly praised by critics and visitors. I think that my technique, which I call "pure form", is a further step towards a personal form of expressionism, occasionally enhanced by dark pigments that bind together with a subject thought as a theorem.

AD: In your opinion, what was your most significant exhibition so far?

DB: What I consider important in my exhibitions, is to highlight my latest research, which I already presented in different countries. I do not know what my most important exhibition was so far. However, what I consider important is the link that I managed to create during my journey that begins in Italy, arrives in Europe and the United States before returning to the countries where everything was born. I want to emphasize the importance of the traveling path of one of my last solo exhibitions entitled "Mundus" that successfully premiered in Switzerland and, for the moment, ended with a second exhibition in Milan.

AD: You have several ateliers and work with many galleries. How does your job or approach change in different cities?

DB: I set up three realities, three studios, to retain a more direct approach with the professionals I work with. Thus, I can create my works better under different perspectives, external visions that give me the opportunity to observe reality in a very stratified way.

AD: The critique considers you as a precursor of Expressionism. Why did this movement fascinate you?

DB: What struck me most of Expressionism was the technique with which its historical painters moved the pictorial material, were able to remain faithful to an academic tradition and at the same time were innovative. If we look at some historical portraits, we note that the painter exorcised the evils of the time by making the painting stronger of the reality itself that inspired him. In my opinion, expressionism means to alter the perception of things. When something is altered, it becomes more effective.

AD: You participated in national pavilions at the Venice Biennale of 2009 and the topic was similar to that of today. What has changed since then?

DB: The idea of an artist changes completely only a few times. Rarely loses an artist her sense of poetic background, the general poetics of the things that she produces. I partially change my ways of representation, but I always try to maintain a certain basic coherence, remaining true to the concept of experimentation, positive transformation. I am still linked to past themes, but it is fair to say that each pictorial cycle belongs more to the time when it was created.

AD: What are you targeting now? What are your upcoming projects?

DB: What interests me most is always to outline the theories that I bring inside my painting. This is the nexus. As for my upcoming projects, in addition to the exhibitions that I mentioned, I am working on projects of collaboration in the Middle East.

(ArtDaily, February 22, 2017)

IL POTERE DEL BIANCO NELL'ARTE CONTEMPORANEA: FONTANA, MANZONI, CASTELLANI, BURRI, VAGO, BONGIOVANNI

di Antonella Furci

Il bianco adoperato in arte, spesso è una tonalità fredda che purifica il supporto, un qualcosa che fa emergere dei "vuoti" che hanno come valore primario degli impercettibili contrasti di forma.

Il bianco, in pittura, è forse il colore più "scientifico" e psicologico in assoluto. Molti sono i protagonisti della storia dell'arte che hanno trattato questa non-pigmentazione, in quanto il suo processo è un articolarsi e un ramificarsi fluido di tanti fattori armonici, che alludono a una informalità perfetta, un contenitore di concetti che si apre per via della natura plastica del quadro.

Tanti pittori, dagli anni Cinquanta in poi, dipingeranno le loro tele di un bianco uniforme, avviando così un processo che ancora oggi è visto dalla critica come innovativo, perché capace di portare alla luce l'interiorità più completa, elaborata e sistematica dell'artista. Molte riviste specializzate, storici dell'arte e studiosi delle Arti Visive hanno analizzato questo fenomeno: studio che molti autori hanno realizzato con grande maestria, sfruttando il rivestimento "sublime" per suggerire allo spettatore nuove dinamiche di apprendimento dell'operato artistico.

In questo elenco mostreremo alcuni artisti storici e contemporanei che hanno trattato in grande stile il tema, facendolo così diventare parte integrante della loro opera omnia.

Lucio Fontana, elaborava il bianco anche nei suoi quadri provocatori, se guardiamo le sue tele monocrome con buchi e tagli, si percepisce il concetto di oltre, il celebre concetto spaziale qui non ha colori; è uno studio particolarmente affascinante, ma difficile da comprendere per chi non conosce la ricerca che ne sta alla base. Il bianco in questo caso dona all'opera una linea di assoluta purezza e perfezione, alludendo all'infinito.

Piero Manzoni ha lavorato sul bianco con tessuti e gesso, creando così una superficie bianca ed elaborata, gli Achrome. Il risultato è prezioso e di grande impatto, perché materico e subito leggibile. Manzoni ha creato su questa linea per anni, fino ad arrivare a composizioni fatte di cotone, sempre in linea con il potere assoluto del non-colore. Le opere sfidano il concetto di presenza, superando il concetto di apparenza.

Molto più regolari e programmate sono invece le opere create da Enrico Castellani, attraverso composizioni di chiodi che tendono dal retro la tela. Qui le texture sono un meccanismo di luce e ombre, volumi che si rivelano complesse e di un fascino concettuale inarrivabile.

Nel caso di Alberto Burri il bianco diventa estremamente complesso, il tutto è frammentato, e le fenditure a labirinto disegnano in modo naturale un terreno inaridito. L'opera ha un doppio strato, opaco, un viaggio portatore di distanze e allo stesso tempo colmo di presenze che stimolano i sensi e la percezione.

Dietro ogni rappresentazione non c'è mai un vuoto, c'è solo qualcosa che è invisibile: la luce assoluta, che possiamo ammirare nei dipinti di Valentino Vago, dove un particolare simbolismo ci attrae e ci inquieta. L'assenza che si trasforma in segni sublimati nel colore etereo, in questo caso non inseguono il bello alla moda, ma l'essenza. L'idea archetipa della bellezza è presente. Il colore illumina e si alimenta attraverso il passaggio dalla psiche.

Questo emerge anche nei dipinti di Daniele Bongiovanni, il pittore dei cieli bianchi, che in seguito a una lunga ricerca, disegna e dipinge volti con tecnica meticolosa, per poi associarli a dei gradienti, per annullare apparentemente la visione concreta delle cose, lasciando a chi osserva il tempo per vedere il riformarsi dei corpi sulla tela. Un bianco che non è mai solido, ma vaporoso come elevazione. Forme tangibili e luoghi solo pensati si legano nella perfezione del segno.

("ArteFair Magazine", 20 febbraio 2017)

IL MUNDUS DI DANIELE BONGIOVANNI

di Gregorio Rossi

Scendendo sicuramente da una sorgente atavica, l'arte attraversa l'umanità subendo nel tempo e nello spazio metamorfosi imposte dal suo corso, rimangono comunque tracce più o meno decifrabili, assimilando comunque il retaggio della tradizione.

Il pittore è un re onnipotente, industrioso ed abile nel suo mestiere; a questo proposito in primis, per affrontare questa mostra antologica, mi sono rivolto quindi a Daniele Bongiovanni chiedendogli delucidazioni sulla scelta delle opere selezionate per quest'esposizione, nel convincimento che il critico prima che oratore debba essere interlocutore ed ascoltatore.

Da qui il racconto in prima persona del Maestro che ci dice che le 21 opere esposte provengono anche da collezioni pubbliche e private e coprono un arco di tempo che và dal 2006 al 2016.

Tutte sono accomunate da quella che fino ad oggi è la chiave della sua pittura: pittura accademica di matrice espressionista con varie sperimentazioni, che gli permettono di astrarre parzialmente i soggetti; questa spiegazione da parte dell'autore coincide con l'intuizione del critico ad ulteriore avvallo che il dialogo è sempre proficuo.

La seconda domanda, per quanto io sia stato il Curatore e quindi in accordo con le scelte, si riferisce al titolo della mostra, affidato a Bongiovanni. "Mundus" orbita intorno all'opera centrale che ha reminiscenze rinascimentali e che il pittore mi dice essersi ispirato in particolare ad Antonello da Messina quindi attinente al concetto dell'artista, che so essere un autore, l'opera del quale è progettata intellettualmente.

Posso quindi affermare corrispondere al suo pensiero che qui riporto letteralmente: "Mundus come uomo, mondo, natura, spazio naturale, filosofia, vita; il contatto naturale tra uomo e natura" tema che aveva precedente presentato con la collezione "Pelle Sporca", alla 53. Biennale di Venezia, nel Padiglione Nazionale da me curato.

Un filo conduttore è rappresentato dalla filosofia estetica, elemento portante dell'attività creativa del Maestro, per il quale mi sento di affermare che ha fatto della sua stessa personalità un'opera d'arte, sicuramente facendo tesoro e poi superando i suoi studi accademici, amando la pittura come i poeti amano i propri versi.

L'intelligenza esige costanti confronti perché il sapere deve essere ancorato alla memoria permettendo però di trovare percorsi innovativi al proprio pensiero. Se Daniele Bongiovanni è stato influenzato dall'Espressionismo bisogna affermare che da questo non è stato condizionato ma, avendone appresa la lezione, ha trovato il suo personale stilema.

La sua arte ci colpisce e spesso ci sorprende, dirada la nebbia dell'abitudine, non permette contaminazioni di categorie e luoghi comuni. Proprio nella successione dei quadri in questa antologica, possiamo coltivare la fantasia e quella visione interiore che potremmo riferire alle facoltà dell'occhio della mente, sul quale intervengono interferenze quando ci esprimiamo con le parole.

Un pittore come questo ha lacerato lo schermo delle convenzioni teso tra i sui occhi e le cose; se posto davanti agli elementi ed ai metodi della conoscenza come a loro tempo fecero Cézanne davanti alla mela oppure Van Gogh davanti ad un campo di grano. Non ha escluso fatti ed aspetti della realtà, oltrepassando però frontiere fissate da teorie in uso comune.

Ho voluto iniziare con una modalità simile all'intervista con l'autore, nella convinzione che il dialogo sia quell'elemento essenziale dove il tramite ed interlocutore principale è il dipinto che deve "parlare" soprattutto all'osservatore e quando il quadro è opera ben riuscita, termina il ruolo del critico ed addirittura parzialmente quello del pittore, continuando in una successione fluida con l'osservatore. Ritorno quindi a quello che ho chiamato l'occhio della mente pensando a quanto l'immagine visiva può aver contribuito ad imprese spesso riferite alla genialità; è un dato di fatto che Einstein attribuisse all'immaginazione visiva, un aspetto fondamentale del suo pensiero scientifico, dichiarando infatti che "Le parole o il linguaggio non sembrano avere alcun ruolo nel mio meccanismo di pensiero. Casomai il mio meccanismo di pensiero consiste di immagini".

Di conseguenza una maggiore creatività deriva da un migliore immaginario; evidentemente Daniele Bongiovanni ha fatto proprio quel percorso di studio ed apprendistato che ha iniziato giovanissimo e che è proseguito fino alla laurea all'Accademia di Belle Arti, rendendolo un pittore completo che a pieno titolo possiamo chiamare Maestro.

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Mundus Other, a cura di Gregorio Rossi, Torino, Edizioni Esse, 2016)

DANIELE BONGIOVANNI: L'OPERA, L'ARTISTA, L'ESPERIENZA DELLA BELLEZZA

di Gregorio Rossi

Ho conosciuto l'opera di Daniele Bongiovanni inizialmente tramite la visione dal vero di una sua collezione dal titolo "Pelle Sporca", collezione che lo ha rappresentato anche a Venezia, durante lo svolgimento della 53. Biennale, nel padiglione "Natura e Sogni", la cui tematica era riferita al primo linguaggio dell'uomo che è l'arte e che essendo un idioma che non ha bisogno d'interpreti in parte esula dal meccanismo di ambizione mercantile per entrare in un concetto assolutamente culturale e significativo per poter dichiarare che l'artista, oltre ad essere interprete del proprio tempo può insegnare una filosofia di pace.

Per quanto riguarda la produzione recente di Daniele Bongiovanni, l'ultima opera che ho avuto modo di vedere è stata "Il creatore". In una visione più completa della sua produzione possiamo definire Bongiovanni un artista figurativo, e la sua figurazione è preziosa e ben definita; eppure in alcuni esempi ha affrontato l'astrazione così come alcune volte sfiora l'informale. Nonostante questi esperimenti o esperienze il suo stilema è sempre riconoscibile.

Ci potremmo chiedere se le opere d'arte vengono definite così perché deciso dagli osservatori o perché dichiarato dagli esperti; personalmente risponderei che lo sono in modo del tutto indipendente.

Ho scritto che l'ultima opera da me vista dal vero ha come titolo "il creatore" ed anche che la sua produzione figurativa ha una perfezione stilistica, nel disegno una linea raffinata. Si dovrebbe quindi presupporre che un quadro con quel titolo appartenesse a quell'aspetto di bellezza convenzionale; invece è un'esplosione di toni forti dalle pennellate decise con un volto che esprime potenza, la rappresentazione che avrei voluto vedere in un soggetto del genere e che qui ho visto.

A questo punto era necessario conoscere ancora più a fondo l'artista perché convinto che i suoi quadri rappresentassero la propria personalità e viceversa.

Quando in seguito ci siamo nuovamente incontrati a Roma questa mia intuizione ha avuto riscontro.

Il bisogno di arte è infatti una necessità primaria degli esseri umani ed è indubbio che per Daniele Bongiovanni questa spiritualità gli sia propria.

Potrei fare una distinzione tra antichi e moderni; gli antichi erano oggettivisti e ritenevano che le proprietà estetiche fossero primarie. I moderni di solito ritengono che le opere siano tali perché manifestano lo spirito umano, ma a questo proposito anche nella notte dei tempi le pitture rupestri erano sicuramente la necessità della manifestazione dell'interiorità dei loro autori.

L'opera d'arte, il bel quadro possiede un qualcosa in più, ma credo sarebbe inutile cercare di spiegare cos'è questo carattere aggiuntivo; dipende dall'emozione anche dal turbamento che, in forma diversa, colpisce l'osservatore.

Le opere di Daniele Bongiovanni possiedono quel qualcosa in più che si rispecchia nel suo personaggio, nel racconto della sua vita d'artista.

Nel conversare con lui, appare chiaro che è uno studioso, un serio professionista e questo è già un elemento raro ma non sufficiente se appreso esclusivamente da una ricerca intellettuale, da uno studio dei testi; lo vedo come un artista che vive la propria formazione "sul campo", in maniera personale.

Se a molti facessi domande sull'arte probabilmente mi verrebbero citati tanti dei libri di arte mai scritti, per esempio per Raffaello. Si saprebbero innumerevoli cose su di lui: le sue opere, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, sarebbe tutto quanto vero? Ma scommetto che non tutti sanno dire che odore c'è nelle stanze dei suoi affreschi. Non tutti sono stati lì a contemplare quelle bellissime pitture.

M'immagino invece Daniele Bongiovanni, che ha uno studio a Palermo, a visitare Monreale e a respirarne l'atmosfera; per non parlare di quanto possa essere impregnato delle bellezze, della cultura, della tradizione millenaria della sua terra.

L'equivalente per esempio è per le donne, probabilmente molti farebbero un compendio sulle loro preferenze, ma in quanti saprebbero dire che cosa si prova a risvegliarsi accanto ad una donna e sentirsi veramente felici? Ritengo che Bongiovanni sia il primo a risvegliarsi felice quando si ritrova di fronte al dipinto realizzato il giorno prima.

Se facessi domande sull'amore probabilmente molti mi risponderebbero con un sonetto, mi sento invece sicuro di affermare che dell'amore sono impregnati i ritratti di questo pittore.

Parlando con Daniele Bongiovanni ho visto un uomo intelligente e sicuro di sé. Non pretendo di aver capito completamente quello che Bongiovanni ha nel profondo perché questo non basta ad incasellarlo e perché assolutamente non voglio che questo sia il mio ruolo, però mi affascina sentirlo raccontare, tutto ciò sempre più mi fa entrare nella sua opera.

Ho scritto più del pittore che delle sue singole opere ma questo perché è affrontando l'opera tutta che meglio si comprendono gli intendimenti e quello che poi vediamo sulla tela, se è veramente arte deriva da un concetto archetipo: l'opera nasce infatti nell'intimo dell'artista che poi la trasferisce sulla tela con la propria tavolozza a beneficio di tutti.

Platone infatti in "Fedro" dice che l'esperienza della bellezza genera un desiderio di comunicare "quando trovo qualcosa di bello voglio che anche gli altri ne godano". Il grande filosofo 2500 anni fa aveva già compreso questa pulsione dell'animo umano a condividere il bello.

Tale soddisfazione la considero una chiave di volta per stabilire un profondo sistema di confronto dei migliori valori dell'uomo così che possa anche tracciare una strada maestra all'intendimento tra i popoli.

Bongiovanni rispecchia in pieno nella sua opera questi concetti; anche Hegel affermava che svegliare l'anima è lo scopo finale dell'arte, comprendendo il contenuto dello spirito e rivelando proprio al nostro animo tutto quello che nasconde di essenziale, di grande, di sublime, di rispettabile e di vero.

Ritengo quindi che in senso generale Daniele Bongiovanni tramite le sue opere permette di rendere accessibile all'intuizione ciò che esiste e le sue rappresentazioni sicuramente consentono di emozionarci fino al punto di conoscere meglio noi stessi.

(saggio presente in Daniele Bongiovanni. Mundus, a cura di Gregorio Rossi, Lugano, Edizioni CD Arts, 2016)

DANIELE BONGIOVANNI, INTERPRETE DEL SOGGETTO UMANO

di Alessandro Rizzo

La produzione artistica di Daniele Bongiovanni ci porta a concepire in modo fermo e deciso che si può riuscire a comporre opere appostandosi all'interno di uno stile che possiamo definire ibrido, in quanto ibrida ne risulta la ricerca che sorregge l'autore, quel percorso sperimentale unico e universale che rende il tratto della mano sempre attento e originale nella propria unicità inconfondibile, all'interno della definizione pittorica del contesto, ponendosi e interponendosi tra il classico e il post moderno, tra il formale e l'informale, tra un espressionismo concettuale e suggestivo, intimo e interpretativo, e una rivisitazione in chiave moderna di tratti e lineamenti che diventano espressioni di altre prospettive e di altri panorami descrittivi, le narrazioni dell'animo. Daniele Bongiovanni studia e interpreta il ritratto del viso tramite la sapienza delle cromie adagiate sulla tela, ora tecnica a olio, tanto da rendere l'opera ricca di una luminosità e lucentezza interiore, ora tecnica mista, donando caleidoscopi visivi utili a decomporre la figura e a ricomporla sotto una dimensione immaginaria e psicologica interiore di indagine delle contraddizioni e delle finitudini dell'essere umano.

I contrasti e le contraddizioni dell'essere umano vengono raffigurate nell'essenzialità e nell'essenza del tratto dell'autore, in un variegato moto e movimento di colori e di linee, di lineamenti e di contorni facciali che creano un movimento, una dinamica e un vortice che traduce il pensiero, l'ideazione e il sentimento introspettivo in una chiave visionaria, suggestiva quanto interrogante lo spettatore sulle identità del volto ripreso dall'autore, che si eleva a metafora e allegoria di una condizione collettiva e anche individuale. I contrasti, molto accesi, di colori, che si confondono e che interagiscono, esaltano e risaltano le figure rappresentate e donano a esse quella giusta definizione indefinita, quella giusta composizione decomponente, quella particolare pluralità di punti di vista che si sintetizzano e si riassumono in una poliedrica rappresentazione, quasi dal sapore cubista. Daniele Bongiovanni ama donare dinamicità alla figura rappresentata e a darne un aspetto di introspezione e di confusione tra due macro concetti che si pongono e che si impongono nella visione manichea esistenziale quotidiana, ossia il contrasto tra bene e male, tra buono e cattivo, tra istinto e ragione: nei visi e nei ritratti di Daniele Bongiovanni tali confini, che appaiono come evidenti dall'immaginario comune, risultano, invece, messi in discussione, risultano essere superati, risultano essere inesistenti rompendo, in questo modo, preconcetti e offrendo una dimensione rinnovata, inattesa e riconoscibile come parte integrante di un'umanità vera e indiscutibile.

Le sensazioni, i sentimenti e gli stati d'animo sono resi tali da deformare il viso e il ritratto e a costituire con fermezza e, allo stesso tempo, con delicatezza un concetto intimo del personaggio, da un lato sicuro della propria esistenza, ma rappresentante la propria fragilità e la propria limitatezza, la propria intramontabile vulnerabilità e la propria sofferenza esistenziale, dovuta a un contrasto tra l'anelito di emancipazione e di libertà e una subordinazione, soggezione, alle regole costrittive e prestabilite di una società.

Si possono trovare, lungo la serie delle opere di Daniele Bongiovanni, citazioni, fatte proprie come lati distintivi di una produzione, a un Francis Bacon, la deformazione del volto e l'esasperazione dei tratti dei visi, peggiorando e alterando una parte di essi a discapito del tutto, donando, cosi, quella centralità concettuale e sostanziale di un messaggio introspettivo interiore; citazioni a un Lucien Freud, la centralità del soggetto all'interno di una dimensione aspaziale attraverso l'illuminazione e la lucentezza delle cromie; cosi come, infine, citazioni a un Munch, dove prevalgono il tratto e la pennellata che vengono gettati con forza e sicurezza sulla tela, trasformando, cosi, il proprio canovaccio cromatico di tinte in un alfabeto di simboli e di segni.

Daniele Bongiovanni parte da un punto oggettivo, si presume che sia tale osservando i volti e i ritratti di persone reali e fisiche immortalati nei propri quadri, per, poi, agire sul reale, sull'iperreale frazionato, in quanto solo alcuni lati di questa dimensione ottica interpretativa e visiva vengono esaltati e risaltati con particolare attenzione da quel flusso di coscienza che promana dall'autore e che influenza la propria interpretazione del soggetto, reale appunto. In questo flusso interpretativo si inseriscono ciò che vogliamo considerare essere il pensiero dell'artista e la concezione, nonché comprensione, dell'individuo, che lo stesso autore analizza, scruta e osserva penetrando in esso e trasportandone l'animo nel reale, riportandolo nel reale, in una concezione totalmente differente da quella realista e in una dimensione espressionista.

La presenza dell'autore nella fase compositiva estetica è presente, ma in modo tale da non invadere quel percorso di riflessione e di conoscenza lasciato libero all'osservatore. Daniele Bongiovanni studia con attenzione la forma, studia in modo approfondito i volti e le anatomie, è fortemente consapevole dei percorsi che definiscono una figura, è conoscente delle qualità fisiche e chimiche dei materiali utilizzati che vanno a interagire tra di loro: questi sono i presupposti funzionali a donare una certa plasticità ai concetti e ai pensieri, quel flusso di pensiero che promana dalla coscienza, moto continuo e perpetuo che si rappresenta tramite giochi di luce e contrasti chiaroscurali, in cui il colore e la materia diventano protagonisti principali della narrazione visiva.

("PASSPARnous", anno V, n. 39, 2016)

INDEPENDENTS LIVERPOOL BIENNIAL 2014: DANIELE BONGIOVANNI

by Simon Adam Yorke

I am writing to confirm the support of the Independents Liverpool Biennial for the proposed project of Daniele Bongiovanni. As Chair of the Independents Liverpool Biennial, I gave the organisations full support to this project. This is an excellent opportunity to introduce international artists to Liverpool and promote Liverpool's cultural excellence to an international community. As a curator and art researcher I found Daniele's practice fascinating. From a young age Daniele wrote his first book. He finds painting is a form of visual poetry, and relates it to a form of music (as painting is music for the eyes). It is all part of the rich tapestry of sensory experience, they walk the same track, and are tools of sensitivity and technique. I was drawn to the work of Daniele as he works primarily with his academic skills to produce new experiences, and experimental techniques. He describes his work (a mix of oil and tempera) as a visual experience to describe his message. This starts with the title, but primarily, he uses the visual as expressions of words, mixing the aesthetic, and intellectual. This was an ideal combination that I thought would enhance the Independent Fringe of the Liverpool Biennial 2014.

The Independents Liverpool Biennial is the Independent Strand of the Liverpool Biennial Festival of Contemporary Art. The Independents is one of the largest and most exciting contemporary visual arts festivals in the UK, and is an open access contemporary art event that showcases young blood and emerging new talent alongside established international artists. These artists often create new work specifically for the Independents Festival, which throws up unexpected and genuine surprises in extraordinary and often unusual venues.

The Independents organisation was established in 2002 and we have continuously grown in scale with Festivals in 2004, 2006, 2008, 2010, and 2012. During Liverpool's year as European Capital of Culture, we showcased 1193 artists of local, national and international status in 175 events at 92 venues to a recorded audience of more than 400,000 (see evaluation report for 2008). The Independents 2012 continued this success by showcasing more than 75 local, national and international artists, 9 Groups and 13 Venues. During the Festival period the website traffic generated 30,155 hits. It is the aspiration of the Independents board to build on the success of previous Festivals and develop the cultural legacy of Liverpool as a world leader in creative communities.

I chose several exciting international artists for the Festival to enrich the local and national artists who contributed to the Biennial 2014. A number exhibited physically within the City, whilst others were represented online, in their virtual gallery space on the Independents Biennial site. The Independents Liverpool Biennial fully supported and committed to Daniele Bongiovanni project, which fitted with the Independents aims of showcasing new and emerging artists, and in facilitating innovative works that introduced and engaged international artists with the city space. These include Iranian artist Hamid Pourbahrami and Romanian Bogdan Rata, who exhibited his piece The Middle Way, a 3.5-metre-high sculpture of a human hand, outside St George's Hall. Also, the work of Latin(o) American artists in the UK - a group under-represented in UK art festivals to date - and bring their work to a UK audience. The Artist in Residency scheme for Ricardo Miranda Zúñiga provided an important opportunity for this artist to develop a new artwork, as he was a significant presence in the Liverpool art community In 2014 the Festival showcased the greatest number of artists, events and venues during the Liverpool Biennial Festival of Contemporary Visual Art. Independents Liverpool Biennial opened on July 5, featuring more than 100 artists, groups and venues from across Merseyside and beyond...

Daniele's work was part of the rich, intellectual and exciting international contributions to the Independents that provided a significant opportunity to showcase international talent. His work was a welcome contribution addition to other international contributions, events and output of projects that was of value to the Independents Liverpool Biennial. As curator I was proud to include Daniele's work for the Festival as his star is on the rise in the world of international art.

(Liverpool, 2014)

LA SERIE "NERI" DELL'ARTISTA SICILIANO DANIELE BONGIOVANNI REINTERPRETA IN BIANCO E NERO I VOLTI DI ALCUNI FAMOSI MUSICISTI

di Claudio Prandin

Il ritratto è una delle forme d'arte più utilizzata nella storia: tra gli esecutori famosi si possono citare Tiziano, Vermeer e Leonardo; i personaggi da essi immortalati sono re, regine e le loro famiglie, nobili, ricchi banchieri, gli umili contadini e naturalmente gli artisti stessi come dimostrano i meravigliosi autoritratti di VanGogh e Ligabue.

La quasi totalità di queste opere ha un fattor comune: il colore; d'altronde solo con l'avvento della fotografia l'uomo si è reso conto di quanto sia emozionante il bianco e nero; utilizzando semplicemente questi due "non colori" l'artista siciliano Daniele Bongiovanni (nato a Palermo nel 1986) propone la serie di dipinti intitolata "Neri" in cui ritrae alcuni famosi musicisti; i quadri (dipinti in olio o acrilico in dimensioni variabili da 40x30 a 60x80) esprimono fascino e musicalità, sottolineano le distonie tra bianco e nero ma al tempo stesso mantengono inalterato l'obiettivo ritrattistico delle opere.

Il dipinto di Miles Davis sembra una fotografia scattata in un locale fumoso; i contorni non sono netti ma slabbrati, non separano decisamente le aree bianche da quelle nere ma sembrano sciogliersi in esse, diluirsi, annebbiando la vista con un effetto di "fading". Rimane però vivissima la sensazione di trovarsi in quel locale durante quell'ipotetico assolo e questo testimonia la qualità dell'opera.

Più o meno gli stessi effetti si ritrovano nel quadro rappresentante Lucio Battisti; qui il viso è più "ritratto" che rappresentato; i lineamenti del cantautore sono nettamente riconoscibili ma la traslazione dello sfondo in primo piano li deforma leggermente dando una sensazione di “uomo in piscina. L'aria virile ricorda più un eroe di film d'azione che il timido cantautore impresso nella nostra memoria.

I due quadri raffiguranti Etta James e Ray Charles riempiranno di ricordi i loro fans perché improntati al verismo; i giochi di ombre li rendono poetici ed emozionanti.

I dipinti sono tutti belli ma a meritare l'encomio sono il "quadro d'insieme" e la volontà del pittore di omaggiare i suoi beniamini, essendosi lui stesso definito un amante del Blue's.

("Extra! Music Magazine", 13 maggio 2014)

LA PITTURA IN BIANCO E NERO DI DANIELE BONGIOVANNI

di Alessandra Buccheri

Per un artista nato nel ventesimo secolo che voglia occuparsi di ritratti il confronto con la fotografia è un passaggio quasi obbligato. Anche se oggi molti fotografi concepiscono la fotografia in un altro modo, rimane pur sempre il fatto che questa fissa un'immagine con una carica di realismo molto difficile da raggiungere con una matita o un pennello.

Come dialogare quindi con questo incredibile strumento che relega la mano dell'artista a risultati "altri" dalla mera rappresentazione? Alcuni artisti hanno virato verso territori alternativi al realismo rappresentativo, trasfigurando l'immagine in colori forti ed emozionali, deformandola, disgregandola, frammentandola in forme geometriche. Altri invece hanno mantenuto vivo e consapevole il dialogo con la fotografia, in un percorso che è forse più sottile e per questo più insidioso dato che rischia di non emanciparsi mai dalla rigida immanenza di un'immagine fotografica.

È questo il caso della serie di "Neri", tele dipinte ad acrilico con ritratti di Miles Davis ispirati a foto d'epoca, eseguite da Daniele Bongiovanni. In queste tele il confronto con le foto rimane molto forte, sia nel gioco del bianco e del nero e che nell'inquadratura. Le misure - 60x80 cm circa - sono però di molto superiori a quelle delle foto, la materialità della pittura è messa in evidenza dallo spessore delle pennellate e dalle diverse densità del colore - ora denso, ora molto diluito - e la definizione fotografica si perde in alcune zone, per riaffiorare in altre.

L'espressione dei volti è più intesa rispetto alle foto grazie alla minore definizione dei contorni. L'effetto complessivo è di grande fascino, attrae l'occhio e la mente. Nell'evocare le vecchie foto le tele riportano alle atmosfere e ai suoni di un tempo e, allo stesso tempo, inducono nello spettatore un piacere estetico e sensoriale che soltanto la qualità di una buona pittura può provocare.

(Palermo, 2014)

DANIELE BONGIOVANNI E LA FIGURA RAREFATTA

di Fiorenzo Mascagna

Di questa ricomposizione dell'essere, lacerata dalla vaporosità del colore, se ne avverte la costanza del principio generatore costituita dal segno.

La figura, non più ordine, ma appartenenza alla mutabilità del cosmo, ridiscute le certezze che definiscono il volto. L'anatomia accoglie come un luogo i mutamenti. Il colore, primordiale fonte di luce, libera l'essenza di un'umanità che si scopre prigioniera di se stessa. È così che gli occhi attraverso l'introspezione del blu si tramutano in viaggio, facendo diventare il campo visivo origine e meta del percorso.

Quest'uomo che si specchia nella vulnerabilità del tratto è lo stesso che fabbrica certezze. C'è da chiedersi se la materia prima, che dà origine al tutto, non sia costituita dal dubbio. Gli occhi che diventano cielo non appartengono al corpo ma sono transito del pensiero. È quindi nuvola la creazione, che nel suo vortice comprende le possibilità dell'appartenenza ad un moto che si disperde per divenire traccia. Questa origine, contrassegnata dall'identità del volto, sarebbe statica se fosse ritratto, invece è cambiamento, continua invenzione da tramutare in purezza.

Il colore, seguendo la scia del trasporto, si solleva dalle statiche campiture e frantumandosi nell'indizio si immette nel vortice del movimento, evidenziandone fragilità e forza. Non è forse questo l'uomo? L'artista ne coglie il bagliore trasformando l'opera in dimensione. Nel delegare al colore lo scivolamento verso l'indefinibile, la figura accoglie la sfida delle tante strade di questo labirinto che diventa ricerca senza fine. Sinistra e destra dell'emisfero cerebrale, specchiandosi nel contrasto di caldo-freddo, si contendono lo spazio attraverso la frantumazione e la compiutezza.

La metamorfosi, che trasferisce nella sensazione la compenetrazione degli opposti, è già simbolo del divenire, perché ha dalla sua parte la forza di non somigliare ad altro.

("Itinerart Cultura", 4 febbraio 2013)

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